lunedì 1 febbraio 2016

Riflettendo

Cara Checca,

 la faccia desolata di una realtà che è emersa, purtroppo da un articolo giornalistico, invece che affrontata e rimediata preventivamente, mi ha fatto molto riflettere.
Penso e parlo per me, ma potrebbe riguardare anche altri, altre, che poco sappiamo della vita "vera" degli ospiti.
Io, per esempio, non ero mai salita nelle stanze, non so perché. Delicatezza? Anche, ma non solo.
C'è una inconsapevole distanza, oppure sappiamo già a priori che certi ragionamenti non possiamo affrontarli? Problemi di restauro, strutture fatiscenti... noi cosa possiamo fare?
Certo, possiamo denunciare, richiamare alle responsabilità politiche...
E noi? Macerati fra la voglia di abbandonare l'assistenzialismo e il desiderio di "dare" cose diverse che si chiamano ricostruzione, voglia di rinnovamento, di restituzione di elementi di civiltà, noi ci siamo fatti scappare da sotto gli occhi la vera e propria emergenza. Dirai che non ci competeva, ma anche sì.
Ora: è andato un medico, ha visto e si è indignato. Se non avesse fatto il medico, ma un altro mestiere, sarebbe un cittadino di Mestre che non sa niente della Casa dell'Ospitalità, delle case di riposo, per non parlare delle carceri e altro ancora.
L'invisibile ha la meglio sullo sguardo, pare.
Ma anche noi abbiamo viaggiato nell'illusione (meritevole) di riuscire a sensibilizzare, a smuovere e rimuovere quella realtà: in fondo senza conoscerla abbastanza.
Penso ci sia un problema di fondo che dovrebbe riguardare la complessità di un luogo di accoglienza, la disponibilità degli operatori, la buonafede di chi a vario titolo ci lavora e la funzione delle istituzioni, i tempi, i modi in cui intervenire.
Se credi di voler girare questa riflessione, fallo pure.

Un bacio, andreina

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