Venezia,
Dicembre 1940
Storia di
una donna ospite di una residenza per anziani.
La seguivano
quei piedi neri dentro gli stivali. Sapeva che cercavano il suo papà.
Li aveva sentiti parlare fuori l’osteria ai piedi del ponte,
avevano detto: “Andiamo a prendere Giorgio P. quel galantuomo di
comunista” e nel pronunciare la parola galantuomo avevano riso e
poi sputato per terra. Lei si era fermata di colpo, avevano detto
Giorgio? Aveva sentito bene? Il cognome era il suo, doveva correre ad
avvisarlo. Ma le uscì un urlo prima di mettersi in fuga, un mezzo
grido tremante di angoscia che le inflisse due paia d’occhi su di
lei. “Ma quella è sua figlia, vedi come le lasciano girare da sole
i compagni”. E ancora uno sputo dopo la parola compagni.
Maledetti,
maledetti, li chiamava così anche sua madre, le sue gambe sembravano
nuotare nel vento, ogni tanto si voltava, non vedeva i due uomini, ma
sentiva quei passi tremendi dentro la testa. La nebbia le era
d’aiuto, forse riusciva ad arrivare a casa prima di loro, così
avrebbe urlato, papà, papà, scappa, ci sono gli uomini neri che ti
vogliono ammazzare. E lui l’avrebbe baciata, stretta e ringraziata
e sarebbe corso in soffitta a rifugiarsi in quel posto segreto. Ma
doveva arrivare prima di quelli là, che dannazione, l’avevano
riconosciuta. Le lacrime le si gelavano sulle guance, ma più forte
del freddo e della nebbia batteva il suo cuore disposto a tutto, pur
di arrivare in tempo. E se non sapessero dove abitavano? Speranza
presto abbandonata. Avevano detto andiamo a prenderlo, aveva sentito
bene.
Suo padre
faceva il maestro di scuola e mai si sarebbe iscritto al partito
fascista. Con quelle belve non aveva nulla da spartire, sapeva delle
loro angherie verso chi non ubbidiva ai loro ordini, sapeva anche
delle botte, della violenza che praticavano su uomini inerti
colpevoli di non essere fascisti.
La Storia la
fanno gli uomini, si diceva ansimando Clementina, ricordando le
parole del papà. Sì e anche le donne, le bambine di dieci anni come
me, ripeteva mangiando lacrime di gelo.
Adesso
arrivo papà, ti salvo io, teneva a mente attraversando i ponti,
sferrando in diagonale sui campi. Dio, fa che non abbia sbagliato
strada, invocava, i piedi cominciavano a farle male, le dita gelate
sottoposte allo sforzo sembravano sparite, sentiva solo le suole di
cuoio delle scarpe che toc tac, toc tac sembravano invase in una
corsa senza tempo, non era più lei che comandava il passo, ma le
scarpe che avevano capito tutto e non volevano deluderla.
Brave
scarpe, bravissime. Clementina si disse che una volta arrivata a casa
le avrebbe ringraziate per aver tentato di seminare due paia di
stivali lucidi e neri.
Vi odio, vi
odio, cantava quasi Clementina e non lo avrete il mio papà. La corsa
ormai era un’impresa impazzita, spalancò gli occhi quando
riconobbe il pozzo vicino alla sua casa. Si voltò. Non c’era
nessun uomo dietro di lei, si nascose per qualche attimo dietro il
pozzo per controllare meglio. No, non c’erano ancora gli uomini
neri.
Arrivò
ansimando a casa, suonò mille volte il campanello, le aperse sua
madre.
Mamma, ti
prego, avverti il papà che lo stanno venendo a prendere. Il papà di
Clementina sentì il trambusto, raggiunse la figlia che tremava e che
piangeva abbracciandolo.
“Io non ho
fatto niente di male Clementina, non possono farmi niente, non
affliggerti!”
“Papà,
credimi, erano fuori dell’osteria, mi hanno riconosciuta, hanno
parlato di te e hanno sputato per terra, hanno sentito anche le
scarpe che mi hanno aiutata, davvero papà, ti prego…”
Il maestro
obbedì, salì in soffitta, non per vigliaccheria, ma per amore di
sua figlia.
Infatti
arrivarono quei due, guardarono la bambina e le dissero che correva
forte, ironizzarono dicendo che lo sport era raccomandato anche da
Mussolini.
“E il
maestro dov’è”, chiesero alla madre.
“Non c’è”.
“Vedremo”.
Clementina e
la mamma guardarono quegli uomini che entravano in tutte le stanze,
aprivano gli armadi, spostavano i mobili, spadroneggiavano in casa
loro.
Il campanile
della chiesa vicina emise dieci tocchi, prima che se ne andassero,
minacciando che sarebbero tornati.
Il papà di
Clementina scese dalla soffitta che si era rivelata un posto sicuro,
con due valigie in mano.” Clementina, aiuta la mamma a fare i
bagagli. Partiamo”.
Andreina
Corso